domenica 9 maggio 2010

"Interismo-Leninismo", ultimo libro di Luigi Cavallaro. A confronto la faziosità del tifoso e quella del comunista.


Guido Liguori e Antonio Smargiasse




In filosofia si direbbe manicheismo, in politica settarismo. Nel calcio invece si chiama, semplicemente, tifo. Perché il tifoso non può che assommare manicheismo e settarismo, non può che confondere la (sua) parte con il tutto. Luigi Cavallaro, nel suo Interismo-Leninismo (manifestolibri, pp. 142, euro 15,00) - ma più bello e ammiccante è il sottotitolo: La concezione materialistica della zona: breve corso - non tradisce minimamente questi principi. La faziosità malsana del tifoso e la ragionevole faziosità del comunista zampillano pagina dopo pagina, riga dopo riga. E ancor più trasuda una autentica fascinazione per il calcio di José Mourinho, teoria e prassi rivoluzionaria, evoluzione post-moderna (per il ruolo che attribuisce alla comunicazione) della scia tracciata dal "collettivismo" di Helenio Herrera e dal "bolscevismo" di Arrigo Sacchi.
Non è agevole parlare di Internazionale F.C. oggi, specie per due laziali militanti come noi siamo e ci dichiariamo: dopo le polemiche di giorni scorsi, montate ad usum Delphini , si rischia di essere accusati di "servo encomio" da parte di chi indulge nel suo abituale "codardo oltraggio". Ma non è per non correre questi rischi che non parleremo qui della "beneamata". Il titolo è fuorviante e il libro non parla che apparentemente dell'Inter. Tratta invece dei sistemi di gioco del calcio e della loro evoluzione storica. Ne parla con linguaggio pieno di riferimenti culturali, divertente e divertito nel proporre un continuo rimando reciproco con la storia della cultura e del marxismo. Forse a volte di ardua comprensione per i non addetti ai lavori (sul versante del marxismo, beninteso).
La doppia parzialità che accompagna il lavoro di Cavallaro rende più intrigante, per la passione e la competenza di cui dà prova, la rilettura critica e comparata dell'evoluzione delle tattiche calcistiche. Non che tutto convinca, beninteso. Ma incrociare la storia del metodo o del sistema con quella dell'economia e delle scienze sociali, o quella del passaggio dalla marcatura a uomo alla zona con l'evoluzione del pensiero politico del movimento operaio o con le trasformazioni sociali del XX secolo, è uno sforzo che diverte e fa pensare a un tempo.
Detto della godibilità e dell'intelligenza del testo, proviamo ora a discuterne gli assunti fondamentali. Prendiamo ad esempio due simmetrie care all'autore: da una parte quella tra la parcellizzazione del lavoro propria della catena di montaggio e la divisione dei ruoli nel calcio degli anni '50-'60 (il libero che spazza, un terzino e lo stopper che marcano, l'altro terzino che fluidifica, il mediano incontrista, l'ala tattica, ecc.); dall'altra il parallelismo tra il mondo del lavoro odierno caratterizzato dalla flessibilità, dall'adattabilità del lavoratore, dalla diffusione del general intellect , e il gioco a zona, con l'affermazione di un calciatore polivalente. In una linea che va per Cavallaro dalle teorie pienieristiche di Alfredo Di Stefano («Il calciatore del futuro deve essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo. Non può essere soltanto terzino, mediano o attaccante, ma deve incarnare il giocatore "a tutto tondo", che sa il fatto suo sia all'attacco che in difesa») al calcio all'olandese e poi al Milan di Sacchi, l'autore traduce nel linguaggio del football le riflessioni marxiane sul lavoratore che, liberato il/dal lavoro (come il calciatore dal giogo delle marcature fisse), «si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale», divenendo lavoratore (calciatore) «totale». Per quanto suggestiva, questa simmetria ci sembra alquanto forzata. Il calcio a zona ridisegna ruoli, spazi, movimenti del calciatore: ma non cancella la specializzazione dei giocatori. Ne arricchisce la polivalenza, non ne cancella la parzialità: Baresi, Maldini e Nesta sono tra i migliori interpreti della difesa a zona, ma hanno interpretato essenzialmente un solo ruolo in carriera (Maldini due, forse). Lo stesso vale per i centrocampisti, da Donadoni a Schneider, o per gli attaccanti, fino a Messi, Ibrahimovic o Cristiano Ronaldo.
Vogliamo dire: il calcio a zona è un calcio per specialisti al pari, più o meno, del calcio fondato sulle marcature a uomo. Il che ci spinge ad approfondire un'altra delle tesi centrali di Interismo-Leninismo : la portata sovversiva rappresentata dall'entrata in scena nel calcio italiano del binomio Berlusconi-Sacchi. Ovvero dallo smantellamento sul campo da gioco di ogni interpretazione ideologica del calcio come attività fondata sulle qualità individuali dei suoi interpreti. La tesi è discutibile e infatti è stata discussa dagli studiosi del calcio: il Milan di Sacchi ha vinto in virtù della qualità nuova e rivoluzionaria del suo gioco oppure della forza dei campioni che ci giocavano? Ognuno manterrà le proprie convinzioni. Varrebbe forse però porre l'accento su un'altra questione: Berlusconi è stato il padre del neocalcio italiano. Egli ha trasformato i "rapporti di produzione esistenti" del vecchio calcio nostrano, ma questo processo innovativo, piuttosto che nelle tattiche di Sacchi, va individuato nella ridefinizione dell'economia e del mercato del nostro calcio. La pubblicità e quindi la televisione rovesciano radicalmente le basi materiali di una attività che da allora in poi porrà l'accento più sul nocciolo produttivo che su quello sportivo. E, se vogliamo, alla configurazione universale del calciatore di fine millennio contribuirà più la "legge Bosman" che non la zona, il pressing o l'intensità predicate da Sacchi. E dopo di lui da Mourinho.
Ma restando interni al discorso di Cavallaro, brillante rappresentante di una ermeneutica ormai consolidata, ci chiediamo: perché nel libro manca del tutto l'anello rappresentato, in questa "geneaologia tattica", dal "caso Zeman"? Forse perché esso rappresenta la più coerente incarnazione teorica e la più estrema esemplificazione sul campo del "calcio totale", ma ne ha dimostrato anche - in assenza di degni interpreti, cioè dei calciatori che Berlusconi poteva mettere a disposizione - tutta la debolezza pratica? Bellissime partite ma, ahinoi, "zero tituli".

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