Dopo l'attuale stagione calcistica ecco presentate ufficialmente le nuove magliette dell'Inter con le possibili personalizzazioni. Che aspettate cugini nerazzurri...prenotate!!!
venerdì 13 maggio 2011
Zeru tituli! (forse!)
Dopo l'attuale stagione calcistica ecco presentate ufficialmente le nuove magliette dell'Inter con le possibili personalizzazioni. Che aspettate cugini nerazzurri...prenotate!!!
lunedì 18 aprile 2011
domenica 9 maggio 2010
"Interismo-Leninismo", ultimo libro di Luigi Cavallaro. A confronto la faziosità del tifoso e quella del comunista.
Guido Liguori e Antonio Smargiasse
In filosofia si direbbe manicheismo, in politica settarismo. Nel calcio invece si chiama, semplicemente, tifo. Perché il tifoso non può che assommare manicheismo e settarismo, non può che confondere la (sua) parte con il tutto. Luigi Cavallaro, nel suo Interismo-Leninismo (manifestolibri, pp. 142, euro 15,00) - ma più bello e ammiccante è il sottotitolo: La concezione materialistica della zona: breve corso - non tradisce minimamente questi principi. La faziosità malsana del tifoso e la ragionevole faziosità del comunista zampillano pagina dopo pagina, riga dopo riga. E ancor più trasuda una autentica fascinazione per il calcio di José Mourinho, teoria e prassi rivoluzionaria, evoluzione post-moderna (per il ruolo che attribuisce alla comunicazione) della scia tracciata dal "collettivismo" di Helenio Herrera e dal "bolscevismo" di Arrigo Sacchi.
Non è agevole parlare di Internazionale F.C. oggi, specie per due laziali militanti come noi siamo e ci dichiariamo: dopo le polemiche di giorni scorsi, montate ad usum Delphini , si rischia di essere accusati di "servo encomio" da parte di chi indulge nel suo abituale "codardo oltraggio". Ma non è per non correre questi rischi che non parleremo qui della "beneamata". Il titolo è fuorviante e il libro non parla che apparentemente dell'Inter. Tratta invece dei sistemi di gioco del calcio e della loro evoluzione storica. Ne parla con linguaggio pieno di riferimenti culturali, divertente e divertito nel proporre un continuo rimando reciproco con la storia della cultura e del marxismo. Forse a volte di ardua comprensione per i non addetti ai lavori (sul versante del marxismo, beninteso).
La doppia parzialità che accompagna il lavoro di Cavallaro rende più intrigante, per la passione e la competenza di cui dà prova, la rilettura critica e comparata dell'evoluzione delle tattiche calcistiche. Non che tutto convinca, beninteso. Ma incrociare la storia del metodo o del sistema con quella dell'economia e delle scienze sociali, o quella del passaggio dalla marcatura a uomo alla zona con l'evoluzione del pensiero politico del movimento operaio o con le trasformazioni sociali del XX secolo, è uno sforzo che diverte e fa pensare a un tempo.
Detto della godibilità e dell'intelligenza del testo, proviamo ora a discuterne gli assunti fondamentali. Prendiamo ad esempio due simmetrie care all'autore: da una parte quella tra la parcellizzazione del lavoro propria della catena di montaggio e la divisione dei ruoli nel calcio degli anni '50-'60 (il libero che spazza, un terzino e lo stopper che marcano, l'altro terzino che fluidifica, il mediano incontrista, l'ala tattica, ecc.); dall'altra il parallelismo tra il mondo del lavoro odierno caratterizzato dalla flessibilità, dall'adattabilità del lavoratore, dalla diffusione del general intellect , e il gioco a zona, con l'affermazione di un calciatore polivalente. In una linea che va per Cavallaro dalle teorie pienieristiche di Alfredo Di Stefano («Il calciatore del futuro deve essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo. Non può essere soltanto terzino, mediano o attaccante, ma deve incarnare il giocatore "a tutto tondo", che sa il fatto suo sia all'attacco che in difesa») al calcio all'olandese e poi al Milan di Sacchi, l'autore traduce nel linguaggio del football le riflessioni marxiane sul lavoratore che, liberato il/dal lavoro (come il calciatore dal giogo delle marcature fisse), «si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale», divenendo lavoratore (calciatore) «totale». Per quanto suggestiva, questa simmetria ci sembra alquanto forzata. Il calcio a zona ridisegna ruoli, spazi, movimenti del calciatore: ma non cancella la specializzazione dei giocatori. Ne arricchisce la polivalenza, non ne cancella la parzialità: Baresi, Maldini e Nesta sono tra i migliori interpreti della difesa a zona, ma hanno interpretato essenzialmente un solo ruolo in carriera (Maldini due, forse). Lo stesso vale per i centrocampisti, da Donadoni a Schneider, o per gli attaccanti, fino a Messi, Ibrahimovic o Cristiano Ronaldo.
Vogliamo dire: il calcio a zona è un calcio per specialisti al pari, più o meno, del calcio fondato sulle marcature a uomo. Il che ci spinge ad approfondire un'altra delle tesi centrali di Interismo-Leninismo : la portata sovversiva rappresentata dall'entrata in scena nel calcio italiano del binomio Berlusconi-Sacchi. Ovvero dallo smantellamento sul campo da gioco di ogni interpretazione ideologica del calcio come attività fondata sulle qualità individuali dei suoi interpreti. La tesi è discutibile e infatti è stata discussa dagli studiosi del calcio: il Milan di Sacchi ha vinto in virtù della qualità nuova e rivoluzionaria del suo gioco oppure della forza dei campioni che ci giocavano? Ognuno manterrà le proprie convinzioni. Varrebbe forse però porre l'accento su un'altra questione: Berlusconi è stato il padre del neocalcio italiano. Egli ha trasformato i "rapporti di produzione esistenti" del vecchio calcio nostrano, ma questo processo innovativo, piuttosto che nelle tattiche di Sacchi, va individuato nella ridefinizione dell'economia e del mercato del nostro calcio. La pubblicità e quindi la televisione rovesciano radicalmente le basi materiali di una attività che da allora in poi porrà l'accento più sul nocciolo produttivo che su quello sportivo. E, se vogliamo, alla configurazione universale del calciatore di fine millennio contribuirà più la "legge Bosman" che non la zona, il pressing o l'intensità predicate da Sacchi. E dopo di lui da Mourinho.
Ma restando interni al discorso di Cavallaro, brillante rappresentante di una ermeneutica ormai consolidata, ci chiediamo: perché nel libro manca del tutto l'anello rappresentato, in questa "geneaologia tattica", dal "caso Zeman"? Forse perché esso rappresenta la più coerente incarnazione teorica e la più estrema esemplificazione sul campo del "calcio totale", ma ne ha dimostrato anche - in assenza di degni interpreti, cioè dei calciatori che Berlusconi poteva mettere a disposizione - tutta la debolezza pratica? Bellissime partite ma, ahinoi, "zero tituli".
In filosofia si direbbe manicheismo, in politica settarismo. Nel calcio invece si chiama, semplicemente, tifo. Perché il tifoso non può che assommare manicheismo e settarismo, non può che confondere la (sua) parte con il tutto. Luigi Cavallaro, nel suo Interismo-Leninismo (manifestolibri, pp. 142, euro 15,00) - ma più bello e ammiccante è il sottotitolo: La concezione materialistica della zona: breve corso - non tradisce minimamente questi principi. La faziosità malsana del tifoso e la ragionevole faziosità del comunista zampillano pagina dopo pagina, riga dopo riga. E ancor più trasuda una autentica fascinazione per il calcio di José Mourinho, teoria e prassi rivoluzionaria, evoluzione post-moderna (per il ruolo che attribuisce alla comunicazione) della scia tracciata dal "collettivismo" di Helenio Herrera e dal "bolscevismo" di Arrigo Sacchi.
Non è agevole parlare di Internazionale F.C. oggi, specie per due laziali militanti come noi siamo e ci dichiariamo: dopo le polemiche di giorni scorsi, montate ad usum Delphini , si rischia di essere accusati di "servo encomio" da parte di chi indulge nel suo abituale "codardo oltraggio". Ma non è per non correre questi rischi che non parleremo qui della "beneamata". Il titolo è fuorviante e il libro non parla che apparentemente dell'Inter. Tratta invece dei sistemi di gioco del calcio e della loro evoluzione storica. Ne parla con linguaggio pieno di riferimenti culturali, divertente e divertito nel proporre un continuo rimando reciproco con la storia della cultura e del marxismo. Forse a volte di ardua comprensione per i non addetti ai lavori (sul versante del marxismo, beninteso).
La doppia parzialità che accompagna il lavoro di Cavallaro rende più intrigante, per la passione e la competenza di cui dà prova, la rilettura critica e comparata dell'evoluzione delle tattiche calcistiche. Non che tutto convinca, beninteso. Ma incrociare la storia del metodo o del sistema con quella dell'economia e delle scienze sociali, o quella del passaggio dalla marcatura a uomo alla zona con l'evoluzione del pensiero politico del movimento operaio o con le trasformazioni sociali del XX secolo, è uno sforzo che diverte e fa pensare a un tempo.
Detto della godibilità e dell'intelligenza del testo, proviamo ora a discuterne gli assunti fondamentali. Prendiamo ad esempio due simmetrie care all'autore: da una parte quella tra la parcellizzazione del lavoro propria della catena di montaggio e la divisione dei ruoli nel calcio degli anni '50-'60 (il libero che spazza, un terzino e lo stopper che marcano, l'altro terzino che fluidifica, il mediano incontrista, l'ala tattica, ecc.); dall'altra il parallelismo tra il mondo del lavoro odierno caratterizzato dalla flessibilità, dall'adattabilità del lavoratore, dalla diffusione del general intellect , e il gioco a zona, con l'affermazione di un calciatore polivalente. In una linea che va per Cavallaro dalle teorie pienieristiche di Alfredo Di Stefano («Il calciatore del futuro deve essere in grado di ricoprire qualsiasi ruolo. Non può essere soltanto terzino, mediano o attaccante, ma deve incarnare il giocatore "a tutto tondo", che sa il fatto suo sia all'attacco che in difesa») al calcio all'olandese e poi al Milan di Sacchi, l'autore traduce nel linguaggio del football le riflessioni marxiane sul lavoratore che, liberato il/dal lavoro (come il calciatore dal giogo delle marcature fisse), «si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale», divenendo lavoratore (calciatore) «totale». Per quanto suggestiva, questa simmetria ci sembra alquanto forzata. Il calcio a zona ridisegna ruoli, spazi, movimenti del calciatore: ma non cancella la specializzazione dei giocatori. Ne arricchisce la polivalenza, non ne cancella la parzialità: Baresi, Maldini e Nesta sono tra i migliori interpreti della difesa a zona, ma hanno interpretato essenzialmente un solo ruolo in carriera (Maldini due, forse). Lo stesso vale per i centrocampisti, da Donadoni a Schneider, o per gli attaccanti, fino a Messi, Ibrahimovic o Cristiano Ronaldo.
Vogliamo dire: il calcio a zona è un calcio per specialisti al pari, più o meno, del calcio fondato sulle marcature a uomo. Il che ci spinge ad approfondire un'altra delle tesi centrali di Interismo-Leninismo : la portata sovversiva rappresentata dall'entrata in scena nel calcio italiano del binomio Berlusconi-Sacchi. Ovvero dallo smantellamento sul campo da gioco di ogni interpretazione ideologica del calcio come attività fondata sulle qualità individuali dei suoi interpreti. La tesi è discutibile e infatti è stata discussa dagli studiosi del calcio: il Milan di Sacchi ha vinto in virtù della qualità nuova e rivoluzionaria del suo gioco oppure della forza dei campioni che ci giocavano? Ognuno manterrà le proprie convinzioni. Varrebbe forse però porre l'accento su un'altra questione: Berlusconi è stato il padre del neocalcio italiano. Egli ha trasformato i "rapporti di produzione esistenti" del vecchio calcio nostrano, ma questo processo innovativo, piuttosto che nelle tattiche di Sacchi, va individuato nella ridefinizione dell'economia e del mercato del nostro calcio. La pubblicità e quindi la televisione rovesciano radicalmente le basi materiali di una attività che da allora in poi porrà l'accento più sul nocciolo produttivo che su quello sportivo. E, se vogliamo, alla configurazione universale del calciatore di fine millennio contribuirà più la "legge Bosman" che non la zona, il pressing o l'intensità predicate da Sacchi. E dopo di lui da Mourinho.
Ma restando interni al discorso di Cavallaro, brillante rappresentante di una ermeneutica ormai consolidata, ci chiediamo: perché nel libro manca del tutto l'anello rappresentato, in questa "geneaologia tattica", dal "caso Zeman"? Forse perché esso rappresenta la più coerente incarnazione teorica e la più estrema esemplificazione sul campo del "calcio totale", ma ne ha dimostrato anche - in assenza di degni interpreti, cioè dei calciatori che Berlusconi poteva mettere a disposizione - tutta la debolezza pratica? Bellissime partite ma, ahinoi, "zero tituli".
sabato 25 aprile 2009
Cui prodest?
L'appello
Il terremoto che ha devastato la terra d'Abruzzo ha messo di fronte agli occhi di tutti la drammatica condizione del patrimonio abitativo italiano, in gran parte edificato senza alcuna osservanza delle più elementari norme antisismiche. A questo si somma la constatazione che la speculazione edilizia, il risparmio sui materiali da costruzione, spinto sino a delinquenziali omissioni di ogni regola protocollare attinente alla sicurezza, hanno trasformato un evento naturale da governarsi con efficaci misure di prevenzione in una catastrofe umana e sociale di enormi proporzioni. E' uno scenario che si ripete sistematicamente, nel nostro Paese, senza che - calato il sipario sull'emergenza - si ponga mente e mano a una radicale revisione del modus operandi. Diventa così fatale l'appuntamento con la prossima catastrofe, sin d'ora annunciata. Si tratta invece di mettere a frutto la lezione che viene da questa ennesima sciagura. E rivendicare che si abbandoni il più inutile e dispendioso fra i progetti di grandi opere, il ponte sullo Stretto di Messina, per investire su un grande progetto di bonifica e di messa in sicurezza di tutte le abitazioni che si trovano in uno stato di palese inadeguatezza, cominciando dagli edifici pubblici, nelle aree al di qua e al di là dello Stretto medesimo, notoriamente ad altissimo rischio sismico. Una simile scelta, improntata ad un'ancora inedita lungimiranza, contribuirebbe a scongiurare altri lutti, altre distruzioni e - contemporaneamente - a formare una diversa cultura ecologica, fondata sulla prevenzione, sul risparmio del territorio, sullo sviluppo della bioedilizia, sull'impiego di fonti di energia rinnovabili, sulla messa al bando della speculazione affaristica fra imprese e potere politico, sull'attivazione di severi ed efficaci controlli amministrativi. Insomma, l'attenzione generale che il dramma abruzzese ha calamitato su di sé, può essere ora trasformata in un'occasione di cambiamento, in un'altra idea di società e di Paese.
domenica 29 marzo 2009
Acqua in bocca
Pubblico un messaggio allarmante giunto nella mia casella di posta elettronica. Apriamo gli occhi e non facciamoci prendere per i fondelli.
Mentre nel paese imperversano discussioni sull'eutanasia, grembiulino a scuola, guinzaglio al cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.
Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica.
Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l'acqua minerale).
Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.
La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.
L'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.
Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo. Acqua in bocca.
E l'opposizione dov'era?? E la stampa?
Mentre nel paese imperversano discussioni sull'eutanasia, grembiulino a scuola, guinzaglio al cane e sul flagello dei graffiti, il governo Berlusconi senza dire niente a nessuno ha dato il via alla privatizzazione dell'acqua pubblica.
Il Parlamento ha votato l'articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica.
Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l'acqua minerale).
Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.
La privatizzazione dell'acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L'uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita.
L'acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto. L'acqua è l'oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre.
Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo. Acqua in bocca.
E l'opposizione dov'era?? E la stampa?
lunedì 26 gennaio 2009
Venti
Venti centimetri, anima, respiro.
Venti centimetri, sguardo silente, amore inespresso.
Venti centimetri, mani solerti, arcano svelato.
Venti centimetri, ineluttabili labbra, ossimoro, lubrico lindore.
Venti centimetri, lasso sublime.
Venti centimetri, sguardo silente, amore inespresso.
Venti centimetri, mani solerti, arcano svelato.
Venti centimetri, ineluttabili labbra, ossimoro, lubrico lindore.
Venti centimetri, lasso sublime.
venerdì 7 novembre 2008
Ah...! La pubblicità!
A quanto pare un'azienda milanese ha deciso di ispirarsi a Fausto Bertinotti per commercializzare un porta cellulare e porta lettore mp3.
Il gadget sarà proposto in velluto a costine ed in tre colori.
Naturalmente potrà appendersi al collo.
Sempre secondo le ultime indiscrezioni un'altra azienda, questa volta dedita alla produzione di anticoncezionali, ha voluto omaggiare un altro grande statista con il suo prodotto di punta.
In base alle dichiarazioni dell'Amministratore Delegato di questa Azienda la decisione è stata presa perché il prodotto si adatta perfettamente allo stile, alla personalità ed alla "statura" dell'uomo politico.
La stessa Azienda ha aperto un sondaggio tra i consumatori per la scelta del nome del prodotto. Partecipiamo anche noi?
Il gadget sarà proposto in velluto a costine ed in tre colori.
Naturalmente potrà appendersi al collo.
Sempre secondo le ultime indiscrezioni un'altra azienda, questa volta dedita alla produzione di anticoncezionali, ha voluto omaggiare un altro grande statista con il suo prodotto di punta.
In base alle dichiarazioni dell'Amministratore Delegato di questa Azienda la decisione è stata presa perché il prodotto si adatta perfettamente allo stile, alla personalità ed alla "statura" dell'uomo politico.
La stessa Azienda ha aperto un sondaggio tra i consumatori per la scelta del nome del prodotto. Partecipiamo anche noi?
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